di Simona Sajeva – Il Giornale dell’Arte 09/2016
L’edilizia storica, prediletta vittima dei terremoti
Dopo la rabbia nel vedere l’effetto che un sisma di forte magnitudo ha sul nostro Paese, è legittimo interrogarsi su che cosa si sarebbe potuto fare per contenere tanta distruzione e sofferenza.
Purtroppo i terremoti non sono eventi prevedibili, ad oggi per valutarne il rischio ci si basa su criteri probabilistici. Ciò aiuta a tener conto dei rischi a livello territoriale, traducendoli in norme e regolamenti per costruire, adeguare, migliorare le costruzioni esistenti e future.
L’edilizia storica fa parte delle costruzioni esistenti ed i monumenti ne sono un caso particolare. Questo tipo di edilizia è più sensibile agli effetti dei sismi a causa delle sue caratteristiche: le tecniche costruttive, la qualità di esecuzione e dei materiali, lo stato di conservazione, le modifiche apportate, l’uso, i traumi già subiti, le caratteristiche del terreno di fondazione, i cambiamenti territoriali.
In occasione di eventi sismici gravi, il dibattito si accende e spesso si cede alla tentazione di polarizzare le posizioni: è possibile migliorare l’edilizia storica per come richiesto dalle norme antisismiche o no?
In questo modo si stimolano opinioni e pensieri schierati, come se da un lato ci fosse la protezione del valore storico della struttura e dall’altra il valore della sicurezza.
Queste posizioni sottintendono un altro assunto: che la tutela del valore storico sia appannaggio di categorie competenti in materia storico-critico-estetica e che la responsabilità della sicurezza statica sia nelle mani di tecnici attenti solo agli aspetti statici.
In questa dinamica c’è un difetto che, se trascurabile in fortunate condizioni statiche, non lo è in caso di sisma. Nella pratica comune (di manutenzione, ristrutturazione, restauro o conservazione) l’importanza dell’approfondimento strutturale e della sua integrazione nel processo di analisi, progettazione ed intervento è meno considerata di quanto sarebbe necessario.
Rispetto ai valori storico-artistici la conoscenza strutturale è percepita come accessoria, davvero necessaria solo in caso di criticità evidenti.
Non è così.
Da ingegnere ho preso parte alla missione volontaria di emergenza post-sisma in Emilia Romagna. Tra le costruzioni che avevano riportato i danni più gravi ce n’erano alcune ristrutturate da poco con l’eliminazione di elementi ritenuti non necessari alla resistenza al sisma della struttura, forse senza un’analisi approfondita.
Quando si pensa a che cosa si sarebbe potuto fare per evitare o contenere gli effetti di un sisma, la risposta è un’approfondita conoscenza delle strutture, della loro costituzione, della loro storia, delle modifiche, ecc. Solo su queste basi un tecnico specializzato può identificare quale sia l’effettivo compito strutturale di ogni parte.
Collegare i dati ottenuti da scrupolosissimi rilievi e dalla storia accuratamente ricostruita al comportamento strutturale è fondamentale, come già la visione di Giovanni Urbani aveva anticipato.
Conoscenza, comprensione e valutazione delle strutture non si limitano ad essere un parere, un via libera, ma sono parte organica del progetto e si integrano con tutti gli altri apporti.
Allora perché i tecnici specializzati in strutture non sono coinvolti nella pratica ordinaria?
Purtroppo l’edilizia storica non offre alcun margine nella valutazione dell’importanza di un elemento nell’equilibrio statico e dinamico di una costruzione. La specializzazione delle competenze è indispensabile.
D’altro canto si nota che l’intervento dello specialista in strutture è ritenuto necessario solo in caso di criticità o, peggio, che apporti un appesantimento tecnico “eccessivo”.
Il bando dell’ultimo concorso del Mibact per l’assunzione di 500 funzionari sembra confermare questo stato di cose. Le figure richieste sono tutte di essenziale importanza: antropologo, archeologo, architetto, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, esperto in promozione e comunicazione, restauratori e storici dell’arte.
Eppure l’integrazione di ingegneri specializzati, geotecnici e geologi, in collaborazione diretta con le figure già previste e sotto un unico coordinamento, sarebbe stata non soltanto utile, ma necessaria.
Simona Sajeva